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Stava per
nascere il Lions Club Lugano
La prima
convocazione di un incontro esplorativo di amici...
STUDIO
LEGALE
LUGANO, Via Ginevra, 2
Dr. GIANCARLO BIANCHI
Tel. 2 51 63 - C.C. XIa 3635
Avvocato-Notaio
Lugano, 18 ottobre 19,50
Egregio signore,
i sottoscritti si permettono di invitarLa cortesemente ad una riunione
che avrà luogo sabato prossimo 21 ottobre, ore 17.00 nella saletta
superiore del Caffè Olimpia, in Piazza della Riforma, insieme con altre
distinte personalità luganesi, in vista della costituzione di un ente
sociale di particolare interesse, per il quale sarà molto gradita la Sua
partecipazione. Nell'attesa, Le inviamo i sensi della nostra distinta
considerazione.
(avv. Ferruccio Bolla) - (avv. Waldo Riva) - (avv. Giancarlo Bianchi)
1970. Sono passati 20 anni dalla fondazione del Lions Club Lugano
L'allocuzione fu tenuta dal socio fondatore Ferruccio Bolla …
Autorità graditi ospiti, signore e signori, amici Lions
Per un immeritato favore della sorte, chi fu il più incredulo
sull'opportunità di fondare a Lugano l'associazione dei Lions è chiamato
per la seconda volta a commemorarne un evento lieto: dieci anni fa avevo
espresso i sentimenti suscitati da due lustri di attività lionistica; oggi
lo stesso incarico mi è affidato per la ricorrenza dei vent'anni. Sembra,
a1 di là di un'iniziale esitazione della memoria, che dopo la prima
presidenza del compianto avv. Giancarlo Bianchi fui io il suo successore
immediato nella guida della società. Questo rispetto della priorità
cronologica non mi impedisce di pensare che sarebbe pur stato un alto
momento di fierezza e di emozione se il programma di questa nostra
manifestazione avesse previsto che al benvenuto del primo cittadino di
Lugano rispondesse il nostro cittadino onorario, dicendo a lei, onorevole
sindaco, le parole di gratitudine per la, sua presenza augurale, magari
confondendosi fra il tu dell'amicizia lionistica e il lei del protocollo:
confusione alla quale io pure sono esposto, tuttavia fiducioso di essere:
da te - voglio dire da Lei, signor Sindaco - benevolmente assolto.
Nella sua qualità di architetto in capo dell'Esposizione nazionale,
progettista della nuova via svizzera, maestro della sua arte alla Scuola
politecnica federale, abituato quindi a vivere a1 contatto con la parte
più vivace della gioventù contestatrice, Alberto Cannenzind sarebbe stato
l'esponente più qualificato per tracciare le fondamenta della nostra
istituzione, definire il criterio e la successione dei piani sorti su
quelle fondamenta, analizzare la qualità del cemento usato, giudicare il
tutto nella giusta prospettiva (se pure in questo Tticino di disordinata
edificazione si siano salvate le leggi della prospettiva). Dovrete quindi
rinunciare ad un'orazione architettonicamente costruita. Dovrete indulgere
a quella che è, secondo il giudizio dell'amico lion Pino Bernasconi, la
debolezza della mia cultura, per la quale magari, se fosse imposta la
scelta di un unico libro per l'itinerario non compiuto della vita, gli
essais di Montaigne avrebbero il sopravvento sui pensieri di Guicciardini.
Chi disse, che "la mémoire est le miroir où nous regardons les absents?"
Forse Joubert? Non so, ma lutti sentiamo come sia doveroso, prima di ogni
altra meditazione, che gli assenti siano qui con noi spiritualmente
presenti: dal primo nostro presidente, l'avv. Giancarlo Bianchi, al medico
dott. Roberto Weissenbach; da Silvio Fumagalli all'ing. Bruno Pagani e,
recentissimo lutto, al lion Remo Somazzi. Esponenti i primi due di quelle
professioni liberali le quali esprimono ancora da noi la dignità dell'uomo
libero e per questo appunto responsabile, esempio l'ing. Pagani della
vocazione a tradurre in opere di progresso civile: le conoscenze
scientifiche, esercitanti gli ultimi due per tradizione familiare commerci
e laboratori industriali così che chi dice Fumagalli o Somazzi esprime
senz'altra aggiunta un concetto di qualità e di preminenza nel rispettivo
campo professionale, questi nostri scomparsi compongono veramente
un'immagine esemplare di quel che siamo e di quel che vogliamo essere.
Nella prima cerimonia di commiato da un membro della nostra associazione -
che fu per il più giovane di tutti, Roberto Weissenbach, il solo che era
rimasto vicino alla mamma come le si può rimanere vicini con tutta
l'adesione del cuore fin che un altro affetto
non si aggiunga al primo - io avevo concluso le parole d'addio con quelle
del poeta inglese Samuel Butler: "Eppure c'incontreremo, e ci lasceremo, e
ancora ci incontreremo, dove s'incontrano i morti, sulle labbra dei vivi."
Oggi è appunto uno di questi momenti d'incontro di tutti i nostri cari
amici scomparsi. Li accomuno, come io ancora li vedo, nel ricordo del loro
sorriso. Da quello pensoso di Giancarlo al sorriso ingenuo di Roberto, da
quello lievemente ironico di Silvio al sorriso lombardo di Bruno o
all'ampio sorriso fiducioso di Remo, essi esprimono insieme lo stato
d'animo che domina i nostri incontri: serenità e lietitudine, sentimenti
che attestano il legame dell'amicizia, posto all'inizio dei nostri scopi
statutari.
Sono
passati vent'anni da quando Giancarlo Bianchi, rimossa la mia incredulità
e ravvivato il tiepido entusiasmo del collega Waldo Riva, accolse e attuò
l'idea portata qui dall'avvocato Galland di Ginevra: ci riunimmo a
Campione; la letteratura vagamente agiografica del Lions internazionale ci
aveva precedentemente orientati sulla storia e l'etica Lionistica, sul
piano organizzativo dell'associazione, sui “Fees and Dues" (che sono poi
le quote e i tributi), sui "meetings" e gli “officers".
Per fortuna molto era scritto in inglese, lingua che per errore
d'istruzione non mi è familiare, così che non potemmo neppure sorridere
per esempio sui compiti del Censore (Tail Twoister) uno dei funzionari
esecutivi del Club. Soltanto più tardi, quando ricevemmo lo statuto e il
regolamento tipo, tradotti in italiano, ci rendemmo conto che egli poteva
"infliggere multe a soci, senza seguire alcuna norma nell'imporle"
(peraltro multe non superiori a 10 cents) e doveva "durante la
riunione, indire passatempi scherzosi e provocare le risa con trovate e
giochi appropriati" (chi avesse dubbi sulla citazione testuale voglia
cortesemente leggere a pag. 10 dello statuto tipo nell'edizione del
gennaio 1963 i compiti di quel "funzionario").
Il nostro buon senso lo soppresse prima ancora che questo attardato
giullare, medievale reminiscenza, trovasse posto nel nostro statuto. Anzi,
noi dimostrammo subito una certa insofferenza al conformismo "made in
USA", osando addirittura ribattezzare in latino, con l'espressione "traditio
Chartae", quella che doveva essere la "Charter Night". Per la "traditio
Chartae " vennero a Lugano, in qualità di padrini, i lions di "Sedunum",
Sion in francese e Sitten in tedesco. Non tanto, penso, per conoscenza dei
fondatori, quanto per l’attrazione dell'ottobre luganese, la sollecitudine
dei sedunesi fu ammirevole. Assai minore era
stata la sollecitudine dei vallesani quando, nel 1755, URI chiese
l'aiuto del Vallese per domare la rivolta dei leventinesi; narrano le
cronache che le truppe del Basso-Vallese giunsero sino a Sierre, in tempo
per essere informati il conflitto era terminato (e sanno i Leventinesi con
quale macabra scena sulla loro piazza più raccolta.
«Léveque - cito testualmente il Dictionaire historique et biographique de
la Suisse - Jean-.Joseph Rotern invita chez lui lei Bas-Valaisans et leur
fit servir à manger et à boir d'excellent vin rouge, en quantité, d'où le
nome de "verre du vin rouge" "donné à cette expédition"».
Anche quella pacifica dei sedunesi nell’ottobre del 1950 a Lugano era
stata preceduta dal dono generoso dei loro vini, non tanto per ignoranza o
diffidenza del nostro Merlot, quanto per anticipare, con la sfavillante
anima di quel dono, i sentimenti della loro simpatia.
"Un soir, l’âme du vin chantait dans les bouteilles", poetò Baudelaire che
se ne intendeva.
Quella sera, ricordo, cantava anche nei nostri cuori.
Bisogna dire che noi avevamo vent'anni di meno, avevano l'età in cui si
comincia ad avvertire, con il disincanto dell'Eclesiaste, che ogni cosa è
vana, ma insieme si ha la sorpresa di constatare che anche le cose
cosiddette vane meritano di essere sapientemente godute. (Ognuno di voi
sottolinei, come meglio gli detta dentro, l’avverbio sapientemente).
Ma soprattutto bisogna dire che eravamo, e resteremo nella storia
lionistica, il primo club di lingua italiana, fondato nel mondo. Gli amici
italiani qui presenti ci perdonino l’immodestia di questa nostra fierezza;
noi stessi abbiamo d'altronde avvertito che la lingua italiana sarebbe
stata approssimativamente rappresentata da ticinesi esposti - per studi e
per commerci, per invadenza forestiera e per consuetudine dialettale - ad
una certa contaminazione linguistica. Ci siamo quindi affrettati a portare
il verbo lionistico, quali padrini, a Milano Host, poi sino a Pescara, per
risalire a Varese e concludere a Milano alla Scala la nostra sollecitudine
di "sponsors". Quale poi sia stata, per iniziativa dei nostri catecumeni,
l'irradiazione del verbo lionistico in Italia non occorre qui illustrare.
Anche nel Ticino il nostro fervore di neofiti fece proseliti: così a
Mendrisio, così a Locarno. Ovunque le singole associazioni si affermarono
nella città, per la virtù dei loro membri, per il rispetto degli scopi
statutari, per iniziative benefiche.
Il bilancio di quest'ultime ha per noi, come prima voce attiva, la
Fondazione della Colonia Fanny Fé Triaca - Lions Club Lugano, la quale per
un decennio organizzò a nostre spese "colonie di vacanze per bambini
difficilmente ospitabili in altre colonie pur avendone bisogno per il loro
sviluppo fisico e psichico". Molte voci di benemerenza non appaiono nel
bilancio di questa Fondazione, assistita con materna sollecitudine dal
Comitato signore, tuttora operante. Nella corona di queste benemerenze,
una sola gemma vorrei segnalare: ed essa ha appunto questo nome, senza
che, per la discrezione del suo operare, sia necessario aggiungere il
cognome, famoso addirittura a Nymphenburg...
L'inventario non vuol essere tuttavia soltanto motivo di soddisfazione,
quanto motivo di meditazione, da cui dovrebbe derivare uno stimolo a
realizzazioni più coraggiose, a una presenza più sollecita (anche nel
campo politico) di fronte a situazioni che non lasciano indifferenti i
nostri figli, attenti nel denunciare con amarezza le cose storte del
nostro mondo, e che non dovrebbero quindi lasciare indifferenti i loro
genitori, riuniti in un'associazione che si definisce per la solidarietà
che anima (o dovrebbe animare) "uomini qualificati e rappresentativi
dei diversi ceti professionali, chiamati a servire in ogni circostanza
l’interesse generale".
Per questa meditazione, il nostro nuovo progetto, che prende l'avvio dalla
fondazione Lions Club per la creazione di una scuola speciale per bambini
"deboli profondi", destinata a colmare una lacuna nella previdenza per
bambini deboli in età scolastica, merita la solidarietà operosa di noi
tutti. È il nostro progetto più ambizioso. Assumendo l'impegno di
realizzarlo conformemente alle speranze di chi conosce nel modo più
sofferto il problema, il senso di questa manifestazione celebrativa
acquista il valore di un allo di fede.
Signore e signori, amici Lions.
Caratterizzando l'anno 1950, nel tradizionale saluto ai Confederati nel
capodanno successivo, l'allora presidente della Confederazione von Steiger
osservava come il 1950 si fosse concluso senza portare al nostro paese
grandi difficoltà e caratterizzava la Svizzera come un paese, in cui la
gioventù, forte, lieta e capace d'entusiasmo "s'adonne aux sports sans
oublier la patrie".
Nulla, meglio del ricordo di quell'analisi (sia pure superficiale come la
circostanza forse imponeva), può farci intendere i mutamenti verificatisi
in un ventennio, proprio sotto la specie della gioventù. Forte ancora la
gioventù del 1970? Non ho elementi per negarlo, ma non posso neppure
ignorare che essa non è sempre capace o disposta a resistere alle fallaci
tentazioni della droga. Lieta? Forse soltanto come si può essere lieti, o
non lo si può essere affatto, dopo certe analisi sconfortanti e tuttavia
lucide dei mali che affliggono il mondo. Capace di entusiasmo?
Bisognerebbe però intendersi non tanto su questa capacità, quanto sulle
idee e sulle persone in grado di suscitare l'adesione, se non addirittura
l'entusiasmo (al quale sono più refrattari) di molti giovani coetanei
della nostra associazione. Dedita agli sport senza dimenticare la patria?
Idilliaca immagine che potrebbe avere il solo torto di non riflettere la
realtà di una non trascurabile cerchia di giovani pensosi.
Pessimismo dell'età matura, il mio? Ma ad alimentare questo pessimismo non
concorre anche uno slogan di una parte del movimento studentesco: "Basta
con la meritocrazia"? come se la gerarchia derivante dal merito, l'ascesa
sociale in virtù dei meriti fosse un'iniquità ed una stoltezza, come se il
nostro progresso non riflettesse la preminenza dei meriti dei suoi
cittadini.
Commentando quello slogan, Arturo Carlo Jemolo lucidamente avverte: "Non
si può attaccare la struttura dello Stato liberale e dell'iniziativa
privata mostrando rispetto per quelli che ne sono i pilastri: per
l'industriale o il commerciante accorto, onesto che non ha alcun tratto
che lo renda odioso, e che ha formato dal nulla urta grande rete di
fabbriche o di negozi; l'impiegato affezionalo al suo ufficio, che anche a
casa pensa al miglior modo di avviare una certa pratica, che desidera
servire bene il pubblico; il magistrato che stende impeccabili sentenze;
il professore considerato un luminare nella sua disciplina, erri
assistenti e allievi sono affezionati (...) Questo attacco ai valori
profondi, che è forse più efficace di quello ai grandi principi, ai
capisaldi politici su cui si reggono le varie società, è immancabile in
ogni campagna che voglia demolire".
È dunque in gioco, a vent'anni di distanza, la vocazione stessa dell'elite
sulla quale si basa il nostro statuto e quello delle associazioni
consorelle?
Rispondo, con meditata fiducia, di no, purché chi rappresenta, per forza
d'animo e carattere, per vocazione e intelligenza, la professione imparata
e praticata abbia anche il sentimento dei suoi doveri civici, della sua
funzione educatrice nei confronti delle elites in formazione, della sua
responsabilità politica e sociale. L'atto di nomina nella nostra
associazione non garantisce l'eletto dai fattori disgregatori, che sono lo
scoraggiamento e lo scetticismo, la cura esclusiva della propria fortuna,
l'intolleranza, una coscienza arrendevole.
È l'educazione degli eletti al rispetto dell'etica e dell'opera lionistica
che sola può impedire il declino di un'associazione ambiziosa quale è la
nostra. E se vogliamo che i quadri si rinnovino, che la nuova generazione,
quella pronta alla critica, ma disposta alla responsabilità e ancora
aperta al dialogo, non si trovi troppo a disagio fra noi, ricordiamo che
essa non ci ammira per le posizioni che abbiamo raggiunto, ma ci giudica
per la egoistica preoccupazione di difenderle; né ci giudica soltanto
sugli errori eventualmente commessi (i quali potrebbero anche palesarsi
fecondi, almeno per le rettifica da essi derivano) quanto sulla
persuasione che il programma di solidarietà dal nostro codice sia più
citato che attuato.
Senza la volontà di dimostrare vana nei fatti questa persuasione, e di
partecipare in prima persona al miglioramento delle istituzioni, non è
possibile preparare l'avvenire che si desidera. Soltanto operando per
questo miglioramento, senza lasciarsi scoraggiare dalle critiche
ingenerose o dallo scetticismo sterile, giustificheremo oggi e domani la
nostra presenza di uomini liberi nella città.
Le riflessioni del presidente del 40.mo del LC Lugano 1990-1991
di Enzo Carnio
Dopo ’immane tragedia che fu la seconda guerra mondiale, un rinnovato
bisogno di amicizia trovò nuove idee per essere utile al prossimo. Si
riscoprì l’importanza dello spirito di servizio, peraltro ampiamente
diffuso nella popolazione, e la necessità di poterlo meglio esprimere
mediante l'unione di più persone che sentissero l'utilità dell'impegno
comune per conseguire finalità ed obiettivi utili al prossimo. Furono
concezioni ideali da cui si sentirono particolarmente toccati tutti coloro
che avevano visto le conseguenze ed il risultato di ideologie sbagliate,
di arroganze meschine e barbare distruzioni.
Non si trattava, di politica, né di religione, né di affari. Lo scopo era
quello di incoraggiare lo spirito di comprensione fra la gente con
particolare cura del benessere civico, dell'amicizia, del vicinato e
l'aiuto ai più deboli.
In questo contesto si svilupparono organizzazioni già esistenti e ne
sorsero delle nuove, istituzioni che tuttora esistono. Maggior successo,
sul piano della diffusione, ebbero i cosiddetti Clubs di servizio di
ispirazione americana.
E fu così
che il Lions Club di Lugano, il 16 dicembre 1950, venne fondato da un
gruppo di uomini di buona volontà che fecero proprie le finalità del
Lionismo riconoscendone la validità nell'interesse della Comunità luganese
nella quale vivevano.
E fu un grande incontro sia per lo sviluppo che il Club ebbe già nei suoi
primi anni di vita, sia per gli interventi benefici che riuscì a
realizzare, portando aiuto alle situazioni di bisogno con interventi utili
a risolvere gravi problemi individuali e familiari di gente bisognosa di
assistenza. E non si trattò di semplice elemosina come prova la fattoria
laboratorio di Vaglio per disabili, alla cui realizzazione il Club attese
per lunghi anni ed i soci dedicarono tempo e risorse importanti.
Lionismo significa l'etica dei Lions e tutti i soci del Club sono ben
fieri di apportare al proprio prossimo un contributo che individualmente
non sarebbero in condizioni di poter realizzare. Il Club costituisce
quella forza con la quale gli scopi del Lionismo diventano concretezza.
Esso non è né una dottrina né farinata della salvezza od una società con
regole segrete. È solo un incontro di persone di buona volontà che si
riconoscono nella comune azione tesa alla risoluzione di problemi ove il
loro intervento apporti beneficio a persone che ne, hanno bisogno.
E i Lions luganesi trovano nell'etica del Lionismo le motivazioni per
mettere al servizio del prossimo le loro qualità e capacità personali c
professionali perché esse "servano" a coloro che rappresentano la parte
più indifesa e bisognosa della società nella quale vivono, in ciò
adempiendo anche ai loro doveri di cittadini.
L'idea Lions arrivò in Europa dopo la guerra. Il primo Club fu costituito
in Svezia. Seguì la Svizzera con quello di Ginevra nel 1948. Gli amici di
Sion si ricordarono che in Ticino v'era fertile terreno per diffondere
l'idea e nacque il nostro Club nel 1950, il primo a parlare la lingua
italiana.
I Fondatori del Club di Lugano continuarono nell'opera: nella primavera
del 1951 consegnarono la Charter al Milano-Host, primo Club in Italia.
Proseguirono nell'opera in Ticino ed ancora in Italia con i Clubs di
Milano alla Scala, Varese e Pescara. E questo fu un contributo importante
alla diffusione dell'idea Lions.
I primi quarant'anni di vita del Club non sono che una tappa del cammino
nel quale il nostro sodalizio intende proseguire continuando a rafforzare
la propria efficienza e presenza nel contesto regionale nel quale opera.
Il ricordo dell'impegno e delle opere, di chi ci ha preceduto è lo stimolo
migliore per noi c per i più giovani che vengono ad unirsi a noi per
continuare con entusiasmo l'azione di servizio che è nella nostra
tradizione.
50 anni: un'occasione...
di Giorgio
Ghiringhelli, presidente della. Commissione del 50.mo
I primi Lions Club europei furono fondati subito dopo la guerra in Svezia
e in Svizzera. Nel nostro Paese, a Ginevra nel 1948 e subito dopo a
Zurigo. Il perché della scelta elvetica è spiegabile con la situazione
economica e politica del dopoguerra: in quegli anni i nostri vicini, che
erano stati coinvolti direttamente nel conflitto, avevano ben altre
priorità.
La seconda tornata di fondazioni toccò anche Lugano nel 1950. Dalla
Svizzera il movimento si propagò a macchia d'olio in tutto il Continente e
a Lugano toccò il grande privilegio di tenere a battesimo il movimento
lionistico italiano. Il Lions Club Lugano mostrò subito grande dinamismo,
colme si addice ad un sodalizio giovane e ben affiatato, e per anni le
attività si svolsero per così dire in famiglia. Le nuove ammissioni si
facevano col contagocce, badando bene che il nuovo socio presentasse le
necessarie affinità col gruppo dei soci fondatori. In quegli anni furono
tra l'altro gettate le fondamenta di quella che sarebbe poi diventata la "activity"
per eccellenza del Club, ovvero (intervento a favore di giovani colpiti da
"handicap". Anni dopo, questi impulsi culminarono nella costruzione della
fattoria protetta di Vaglio, una realizzazione che costituisce ancora oggi
il vanto del nostro Club e lo impegna tuttora in un costante sforzo di
aggiornamento e di miglioramento della struttura.
Fatalmente col trascorrere degli anni il nucleo dei soci fondatori si è
progressivamente sfaldato. Gli entusiasmi iniziali si sono affievoliti e
l'inesorabile marcia del tempo ha lascialo i suoi segni. I nuovi soci non
presentavano più le medesime caratteristiche di affiatamento con quelli
del gruppo iniziale e questi ultimi avevano meno entusiasmo nell'iniziare
i novizi allo spirito e alla disciplina del sodalizio. Qualche presidente
tentò la fuga in avanti, facendo entrare nel Club un quantitativo di soci
che eccedeva le capacità di assimilazione della struttura. Da ciò derivò
un numero forse eccessivo di membri, rapporti non sempre armonici - a
volte persino conflittuali - tra vecchi e nuovi lions, nonché in genere
una specie di crisi di rigetto degli ideali che avevano animato il Club
sin dalla fondazione.
Con questo non si vuole negare validità alle molte iniziative intraprese
dal Club negli anni: si pensi soltanto all’organizzazione dell'Europa
Forum a Lugano nel 1982, agli impulsi per la creazione di un secondo Lions
Club nella nostra città, alla fondazione del primo Leo Club elvetico, alle
molteplici attività espletate a favore di Telethon o all'azione permanente
di vendita di vini, affiancata alla, creazione di una piccola guida
gastronomica, a favore di Vaglio. Tuttavia, più che di uno sforzo corale,
si trattò in genere di attività che coinvolsero il comitato del momento e
un ristretto numero di soci. Accanto a queste grandi iniziative ne
contiamo una miriade di piccole, volte tutte a onorare il principio del 'We
Serve", motto del nostro movimento. Non voglio quindi criticare né i
comitati che si sono succeduti negli ultimi decenni, né tantomeno i loro
presidenti, voglio soltanto sottolineare la metamorfosi di un club. che in
cinquant'anni si è trasformato da un affiatato gruppetto di amici in
un'ampia formazione di persone che, hanno origini, mentalità e interessi a
volta assai disparati.
Questa eterogeneità dovrebbe costituire, a mio modo di vedere, non un
punto debole del nostro Club, ma il suo punto di forza. Suggerisco
pertanto che si colga l'occasione dei 50 anni di fondazione, per chinarsi
sulla ragione d'essere del sodalizio e per chiedersi come sfruttare al
meglio le spinte e le energie derivanti dall'incontro di tante personalità
multiformi. Catalizzatore di queste sinergie dovrebbe essere la nostra
tradizionale attività a favore dei giovani portatori di "handicap".
Partendo da questo punto ferino, si apra nell'ambito dell'associazione un
dibattito, in cui ogni socio sia chiamato a esprimere il suo punto di
vista e i suoi suggerimenti costruttivi. Da questo dibattito dovrebbero
nascere le future linee direttrici dell'attività del club, sostenute da.
una partecipazione e da un consenso i più ampi possibili.
Rinnovamento nel solco della tradizione potrebbe essere il motto di questo
nostro cinquantesimo, inteso quindi non come sterile festeggiamento di un
pur glorioso passato, ma come contributo di idee e di impulsi fattivi del
Lions Club Lugano.
Testimonianza dei soci fondatori del LC Lugano: Alberto Camenzind e Dino
Poggioli
La
scintilla iniziale e i primi anni dell'amicizia e della solidarietà
lionistica
a cara di Enrica Pesciallo-Bianchi
Da dove è partita la scintilla che ha acceso la fiamma lionistica in
Ticino? Da Ginevra e dalla Svizzera romanda. Lo ricordano con un sorriso
che si vede, denso di memorie i due soci fondatori DINO POGGIOLI e ALBERTO
CAMENZIND, che abbiamo incontrato nelle loro abitazioni di Massagno e di
Astano. Alcuni amici di Ginevra e di Sion (sezione madrina del Club di
Lugano) di cui si è perso magari il nome ma sicuramente non lo spirito,
contattarono il primo nucleo luganese contagiandolo con l'ideale di
solidarietà che caratterizza il Lions Club nel mondo.
Ai primi positivi e ferventi incontri all'Olimpia di piazza Riforma
succedettero i preparativi che portarono alla “traditio chartae” al primo
Lions Club di lingua italiana, presieduto dall'avv. Giancarlo Bianchi, il
16 dicembre 1950, nella prima sede situata presso l’albergo Bristol
appartenente alla, famiglia di Alberto Camenzind.
“Eravano un gruppo di anici con una gran voglia di fare qualcosa insieme
per reagire allo spirito di chiusura che ancora dominava in città,
qualcosa che andasse al di là dei soli interessi professionali e politici”
ricorda l'architetto Camenzind.
“Siamo partiti a piccoli passi, mancavano l'esperienza ed i contatti”
aggiunge Dino Poggioli, “ma poi abbiamo fatto cose molto belle. Alle
attività di routine sociale, quali le passeggiate e le riunioni mensili,
abbiamo aggiunto azioni mirate che ci hanno dato una grande soddisfazione.
Ricordo ad esempio la colonia estiva dei bambini a Viglio a metà degli
anni cinquanta, curata per qualche anno particolarmente da Guido Bustelli,
iniziativa che abbiamo poi dovuto lasciare perché ci mancavano i mezzi per
le ristrutturazioni necessarie al suo funzionamento. E oggi abbiamo
costituito 1a Fondazione che provvede alla fattoria di Vaglio: è la nostra
attività maggiore e molto impegnativa, che dà assistenza, ad una ventina
di persone, che possono realizzarsi in attività agricole e manuali,
seguite da maestri e personale fisso.
È
una struttura molto impegnativa, che
richiede grandi investimenti e che per il 50.mo vogliamo ancora ingrandire
concentrando in essa i nostri sforzi”.
Il Lions Club è anche una finestra sul mondo? “Da subito ci siamo
aperti, in particolar modo verso l'Italia, dove abbiamo messo le radici di
altri Club: Pescara e Milano Host” ricorda Poggioli. "Poi
abbiano fatto diversi gemellaggi. Qualcuno funziona bene, ma soprattutto
se i club sono vicini. Altrimenti è difficile organizzare attività e
scambi quando si è troppo lontani. In cartellone abbiano ogni anno un
bellissimo viaggio che, oltre che l'occasione di conoscere posti nuovi, è
soprattutto l'occasione di stare insieme e conoscerci noi. Importante è
anche tutta l'attività internazionale: ma il Club in se
stesso partecipa poco; ne approfittano i singoli soci, che partecipando
alle riunioni distrettuali in Europa e nel mondo
possono
viaggiare ed allacciare contatti. E non possiamo dimenticare l'Europa
Forum che abbiano portato a Lugano nel 1982 - la cui organizzazione è
stata curata in primis da Rolando Benedick che ha visto l'arrivo in città
di più di tremila persone per discutere attorno al tema de “Il nostro
impegno per il cittadino e lo stato nella società in evoluzione”. Per
quell'occasione abbiamo organizzato anche una grande asta, dove abbiamo
venduto di tutto per raccogliere fondi per pagare le ingenti spese
organizzative del forum”.
Qualche critica all'organizzazione o al funzionamento del Club? Non ne
esprime Alberto Camenzind, che seppur fedele al sodalizio non ha potuto
seguirne da vicino la vita, portato dalla professione dapprima a Losanna
per curare l'Expo del '64 e poi a Zurigo quale docente di architettura.
Può invece avanzarne con piena cognizione di causa Dino Poggioli,
sicuramente uno dei più assidui membri, che per ragioni legate all'età ha
rinunciato negli ultimi tempi ai viaggi, ma non
alle riunioni, “Da un lato vanno sottolineate
le difficoltà legate al cambiamento annuale di presidenza. Questo
cambiamento rende molto difficile creare una linea di condotta. In
pratica, con la gita primaverile e quella autunnale, qualche riunione e
conferenza, l'anno è passato in men che non si dica e si finisce a poter
fare poco. Poi, con l'aumentare del numero dei soci, si è perso quell'affiatamento
iniziale che caratterizzava la nostra unione. Quando si è in troppi, anche
se si partecipa tutti ad una serata non si riesce a parlarsi, i contatti
più profondi restano limitati a poche persone. Ciò porta anche ad un
allontanamento tra il Comitato e i soci. Ed infine il grande problema
attuale è quello del coinvolgimento dei soci, che dovrebbero invece
rendersi conto di quanto ci si arricchisca partecipando”.
Ed è con grande orgoglio che Dino Poggioli conserva le innumerevoli
placche di riconoscimento: per la presenza ininterrotta ai meetings
annuali, per gli anni di appartenenza, medaglia al merito, riconoscimento
Melvin Jones per meriti speciali e vari altri souvenirs.
Qualche desiderio per il futuro del Club? Per Poggioli sarebbe bello poter
riprendere alcune attività che sono state accantonate, ma che avevano dato
buona prova. La concentrazione degli sforzi sulla Fondazione della
Fattoria di Vaglio è una cosa meravigliosa, ma nella vita anche le piccole
cose meritano attenzione e permettono di diversificare gli interessi. Per
esempio, varrebbe la pena ripristinare l'accoglienza reciproca di figli
Lions di tutto il mondo durante le vacanze: un'esperienza che arricchisce
sia il giovane accolto, sia la famiglia di accoglienza, mettendo a
contatto lingue, tradizioni ed usanze diverse e stimolando lo spirito di
solidarietà che è tra gli scopi principali dei Club.
Quale tra gli scopi sociali ha marcato più profondamente la vostra
esperienza di Lions? Non c'è ombra di dubbio e si legge la gioia nello
sguardo dei due interlocutori, la cui risposta è concorde: lo stimolo
dell'amicizia, un'esperienza unica e meravigliosa.
Uno spazio per i sentimenti
Al caro amico Piero
L’amicizia come motore della vita sociale e della solidarietà: è
stato lo stimolo maggiore per i soci fondatori del Lions Club Lugano, che
sono rimasti fedeli al sodalizio per ben cinquant'anni e lo resteranno
ancora. Un rapporto profondo tra le persone, che si manifesta col cuore
nelle piccole cose. Lo dimostrano questi versi affettuosi, dedicati nel
1988 da Dino Poggioli ai settantacinque anni dell'amico e socio Piero
Benedick:
Settantacinc i po' ves poc o tanti
ma diménticai e guarda avanti.
La vita l'è bela e var la pena
da, vivala se la trascrur serena..
Con tanti amis e con tanti parent
ul temp al passa. semper conte ul vent.
Sa res bel pudé fermà questi moment
per vivai con gioia e godiment.
La vrita la te staia, generusa
continuala tranquil con la tua spusa.,
suddisfaziun te ne minga mancaa,
ringrazia Dio par quel che al ta daa.
Settantacinc l'è una bela età
se passada in solut e tranquilità.
Mi ti auguri ancamò tanti an
da trascur feliecement e senza dan. |